La luce dei fari taglia il buio come una lama alle tre e mezza della mattina.
Al via del percorso più lungo de L’Eroica manca almeno un’ora e come sempre all’inizio della strada che tra mille, estenuanti tornanti porta da Castelnuovo Berardenga a Gaiole in Chianti in macchina la domanda è sempre la stessa: “Ma chi me lo fa fare?”.
Una risposta razionale non c’è, perché non è possibile spiegare a chi non c’è mai stato, e comprensibilmente non ha alcuna intenzione di farlo, almeno nelle condizioni di uno che sta per farsi 209 chilometri di strada tremenda su una bicicletta che è un ferro vecchio, cosa esattamente da 26 anni spinga migliaia di persone a seguire il richiamo irresistibile che Giancarlo Brocci lancia al mondo delle due ruote. Perché poi una ventina di amici si ripresentino immancabilmente nello stesso agriturismo a 25 chilometri da Gaiole, disposti a pagare un prezzo fuori mercato la notte prima de L’Eroica, è davvero sorprendente. Però il numero dei partecipanti in costante crescita e la risonanza sempre maggiore della cicloturistica storica più famosa al mondo sono fatti che dimostrano incontrovertibilmente che una ragione, per quanto misteriosa, ci deve pur essere. Per me e per i miei amici, ma sono sicuro che è così per la stragrande maggioranza dei partecipanti, non c’è dubbio che la spiegazione sta nell’incontro, o meglio, negli incontri. L’agriturismo e la cena del venerdì sono il nostro punto di incontro.
Durante l’anno tra di noi ci si vede saltuariamente e solo quando il lavoro o la famiglia lo concedono. Età media oltre i 50, siamo tutti ciclisti ed ogni tanto si esce a gruppetti attorno a Milano. Nel tempo molti hanno abbandonato le gran fondo più famose non solo perché la forma fisica è quella che è, ma soprattutto perché lì non ci si diverte più tra partecipanti in piena trans agonistica che, convinti di essere al Giro d’Italia, sono capaci di farti cadere pur di arrivare nei primi cento.
L’Eroica è un’altra cosa, e grazie a Dio non ci sono segnali che possa cambiare. Per chi si avvia ad essa, il primo incontro di solito è con chi l’ha già fatta ed ha ancora negli occhi e nella bocca le immagini e i sapori dell’ultima edizione. Si parla di ribollite, di finocchiona e di vino, di forature, di lunghezza dei percorsi, di sterrati a precipizio e salite da girone dantesco, di deragliatori e catene che saltano, dello spettacolo di Piazza del Campo a Siena degli ultimi anni e delle Crete senesi. Poi c’è l’incontro con la bici, con chi te la dà o ti aiuta a rimettere a posto il catenaccio di quaranta anni fa che avevi in cantina e che va curato con attenzione e meticolosità se vuoi tagliare il traguardo pedalando. Per mesi si parla di pezzi di ricambio, possibilmente originali, di rapporti, di “copertoncini che sono meglio dei tubolari, anche se fanno meno epoca” chiedendosi “Che maglia ti metti?” e “Che percorso fai?”.
Poi ci sono gli incontri più ovvi, ma non per questo meno sorprendenti, durante la “gara” con i ciclisti che arrivano da mezzo mondo. Perché tutti sappiamo perfettamente che L’Eroica non è una competizione, ma in fondo in fondo ciascuno di noi vuole quantomeno arrivare in cima alla salita più tosta prima di quello o quella (le donne aumentano di anno in anno e sono fortissime) che ti sta a fianco o, accidenti!, ti ha appena superato. Si scambiano impressioni, battute, incoraggiamenti, a volte maledizioni se c’è quello che ti taglia la strada e ti cade davanti mentre stai arrancando sulla terra delle Sante Marie. Si incontra uno dei paesaggi più belli del mondo e l’aria impregnata degli odori d’inizio dell’autunno. Ai ristori il suono che più ti colpisce è l’eco delle risate, anche tra sconosciuti arrivati da chissà dove. Almeno ai primi ristori, perché dopo la fatica ti riporta alla domanda che ti eri fatto in macchina: “Ma chi me lo fare?”.
Te lo fa fare il ritrovarsi al traguardo con quegli amici con i quali eri partito ma che hai perso di vista lungo il tragitto, perché ciascuno in bici va al proprio passo, e con i quali analizzi e commenti ogni momento de L’Eroica. E’ proprio allora che ti prende la nostalgia per quello che hai appena terminato mentre già si fa strada la smania per la prossima edizione.
Giuseppe Guastella/Corriere della Sera